Siamo sicuri che il regime premiale premi davvero i contribuenti più virtuosi? La verità potrebbe deluderti

Regime premiale verità
Regime premiale-Finanzarapisarda

Il regime premiale non sempre da ragione ai contribuenti più onesti, ma spesso è assolutamente poco imparziale: ecco perché succedono questi problemi.

Torniamo indietro nella storia più recente del nostro paese, al 2011, quando la difficoltà della crisi in corso, l’aumento dello spread e varie ripercussioni politiche stavano portando problematiche serie al nostro paese.

Il Governo allora Berlusconi vara una riforma politica chiamata Decreto Salva Italia  Decreto Legge n. 201 del 6 dicembre 2011 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 284 del 6/12/2011.

Con l’arrivo del nuovo Governo Monti vengono sviluppate anche delle riforme per la crescita ed il consolidamento dei conti pubblici e tra queste riforme era compreso anche il regime premiale.

Ma cosa diceva il testo dell’articolo che parlava appunto del regime premiale?

Regime premiale: cosa c’è di sbagliato?

Perché il regime premiale non premia effettivamente tutti? Semplicemente perché per un periodo di tempo stabilito ad alcune annualità, ad esempio quelle successive alla crisi del 2010, ma anche quelle dell’attuale appena passata pandemia, tutte le aziende ricevono il controllo fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Questi oneri poi devono essere supportati anche se le aziende stesse che rientrano appunto nel regime premiale avrebbero potuto diluire le spese nel tempo e non effettuarle in maniera repentina, dato che i controlli avvengono nel corso di ogni due anni.

regime premiale
regime premiale – finanzarapisarda.com

Regime premiale: l’articolo che lo supporta

Il testo dell’articolo sul regime premiale diceva: “Nei confronti dei contribuenti soggetti al regime di accertamento basato sugli studi di settore, ai sensi dell’articolo 10, della legge 8 maggio 1998, n. 146, che dichiarano, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori a quelli risultanti dell’applicazione degli studi medesimi”.

L’elenco: “a) sono preclusi gli accertamenti basati sulle presunzioni semplici di cui all’articolo 39, primo comma, lettera d), secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54, secondo comma, ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
b) sono ridotti di un anno i termini di decadenza per l’attività di accertamento previsti dall’articolo 43, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dall’articolo 57, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1972, n. 633; la disposizione non si applica in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74;
c) la determinazione sintetica del reddito complessivo di cui all’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e’ ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un terzo quello dichiarato. 10. La disposizione di cui al comma 9 si applica a condizione che:
a) il contribuente abbia regolarmente assolto gli obblighi di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, indicando fedelmente tutti i dati previsti;
b) sulla base dei dati di cui alla precedente lettera a), la posizione del contribuente risulti coerente con gli specifici indicatori previsti dai decreti di approvazione dello studio di settore o degli studi di settore applicabili.«Il successivo art. 11 prevedeva, poi, una particolare “attenzione” l’Agenzia delle entrate e la Guardia di Finanza nei confronti di quei contribuenti soggetti al regime di accertamento basato sugli studi di settore, per i quali non si rendeva applicabile le disposizioni. “